Rotellando in Crociera con Marco e Francesca

Si parte per una nuova avventura, questa volta sarà un po’ diverso, perché ci sposteremo via mare. Il 20 aprile saremo a Venezia e il giorno successivo ci imbarcheremo sull’ammiraglia “Costa Fascinosa” per intraprendere un nuovo progetto: “Rotellando con Costa Crociere”. Durante questo viaggio racconteremo per una settimana il viaggio e le storie sulla nave e nei porti del Mediterraneo Orientale (Italia, Grecia, Turchia e Croazia). Sono felice di intraprendere questa nuova avventura, sarà una sfida raccontare i luoghi e le storie che incontreremo nel poco tempo che avremo a disposizione quando saremo a terra, così come sarà una sorpresa vivere le diversità di culture che vi sono a bordo di una nave da crociere; insomma, sarà estremamente interessante provare a trasformare una vacanza in un viaggio e un viaggio in una vacanza.

Questa volta con me si imbarcheranno: Francesca Serra che sarà la videomaker di “Rotellando con Costa Crociere”, anche lei ha un blog di viaggi: Seguendo il fiume di stelle, fotografo durante questo viaggio sarà Marco Resti e con noi, questa volta, ci sarà anche la mia amica, LaSimo che avrà il compito principale di sedarmi e di darmi le pastigliette all’ora giusta, insomma sarà la “sorellastra” di cui necessito.

Tutto torna

E’ proprio vero, tutto torna! Quando ero bambino, ovvero l’altro ieri, da Domodossola, prendevo il treno per andare in Liguria dove abitavamo e a Milano Stazione Centrale facevamo il cambio treno. Mi piaceva tanto la Stazione Centrale, mi piace tutt’ora, tutta quella gente che corre che va e chi viene. Dove andrà ? Chi lo sa?! Mentre eravamo in attesa della coincidenza c’era una cosa che dovevo assolutamente ammirare, tiravo mia mamma per la gonna e insistevo, dovevo vedere la “NAVE !”. Proprio nell’atrio della stazione, tra chi partiva e chi arrivava, c’era il modellino del transatlantico Michelangelo, era grandissimo, imponente o per lo meno mi sembrava così, probabilmente lo era visto che quel modellino è lungo più di 5 metri, mi chiedevo “se è così grande il modellino, chissà come lo è l’originale”. Stavo lì, la guardavo nel mezzo della confusione della stazione e immaginavo di salirci su quel transatlantico, di andare in America come avevo visto in tv oppure in Cina come avevo letto in alcuni libri d’avventura. Quanto mi sarebbe piaciuto stare giorni e giorni in mezzo al mare, dove tutto ti sembra uguale e dove tutto è diverso, farti cullare o sobbalzare dalle onde, passare giornate a leggere, a giocare, a conoscere tutti i passeggeri e l’equipaggio, magari anche il capitano. L’equipaggio sarà stato di diverse nazionalità, di diversi colori. Quanto tempo a disposizione avrei avuto per scoprire cose nuove su quella grande nave e sicuramente ci sarebbero stati dei piccoli spazi dove nascondermi e solo io ovviamente li avrei trovati e scoperti e dopo giorni e giorni di scoperte avrei avvistato la terra e un mondo nuovo davanti a me si sarebbe aperto. Poi, come sempre, arrivava la voce scocciata di mia mamma: “Fabriziooo siamo in ritardo, ti stacchi da sta nave…andiamooo” e tornavo nella realtà, alla confusione della stazione.

 Ora quel modellino è su un’altra nave grande come il transatlantico ovvero la Costa Fortuna, l’hanno ristrutturato e a modo suo naviga. I viaggi mitici dei tempi della Michelangelo non ci sono quasi più, cambia tutto, cambia anche il modo di viaggiare, resta la nostalgia. Ora però ci sono le grandi navi da crociera e come il modellino si è trasferito sulla Costa Fortuna, io salgo sulla Costa Fascinosa. Per questo ho deciso di partire per una crociera, non per fare una vacanza (cioè un po’ anche per quello) ma per cercare quel piccolo spazio nascosto che cercavo da piccolo, per cercare di stupirmi dentro ad un enorme nave. Sono certo che ci sono piccoli o grandi spazi da trovare, che non sono solo i luccichii dei saloni, gli ascensori e le piscine ma soprattutto le persone che per qualche giorno vivono una settimana da protagonisti e il personale che ci lavora che per mesi e che trasforma la nave come la propria casa e i suoi colleghi come una famiglia.

La crociera in realtà è uno stile di viaggio radicato nel passato, quando, in mancanza di aerei, le attraversate oceaniche erano lʼunico mezzo per raggiungere terre lontane, viaggi in cui, data la vicinanza, si instauravano rapporti tra viaggiatori e tra viaggiatori e l’equipaggio. Ho voglia di far parte di una comunità viaggiante e spero che con Rotellando riusciremo a farla emergere. Sono altresì convinto che la crociera è uno dei modi migliori per viaggiare in maniera comoda e accessibile per chi ha problemi di mobilità, staremo a vedere !

Venezia

Prima di salparecon Costa Crociera facciamo tappa a Venezia, dove la ciurma di rotellando s’incontra: alle macchine fotografiche troviamo Marco Resti, alle videocamere Francesca Serra, alle pasticche e alle public relations Simona Prima, canterà per voi: Fabrizio Marta detto Rotex. E’ da circa 20 anni che non vedo Venezia, quella volta era stata una vacanza di risate e di chiacchierate tra 20enni, bastava dire che si era stati a Venezia, in particolare a Piazza San Marco, tutto il resto andava in secondo piano: i ponti, i vaporetti e l’accessibilità; il ricordo è di un luogo molto complicato per le mie rotelle e pericoloso per l’ernia di chi mi accompagnava, per questo motivo con il passare del tempo ho evitato week end o scampagnate nel capoluogo Veneto.

La crociera mi dà l’opportunità di ritornarci e per prima cosa cerco di capire se l’accessibilità è migliorata e come sia muovermi in questa città. Da subito mi rendo conto che tra i criteri che devo inserire nella scelta dell’albergo, oltre all’accessibilità, devo aggiungerci il parametro della localizzazione, infatti è importante capire da subito il punto in cui è posizionato l’hotel. Questo, infatti, dev’essere in una zona facilmente raggiungibile dai vaporetti e che non vi siano troppi ponti. A Venezia ci sono circa 4000 ponti di cui 250 accessibili e il Comune ha un servizio “Città per tutti” a cui possono rivolgersi sia i residenti che i turisti con disabilità per avere informazioni. Tramite questo servizio è possibile ottenre la mappatura delle zone fruibili a chi ha problemi di mobilità.

L’accessibilità a Venezia è data soprattutto dalla praticità dell’uso dei vaporetti, mezzo di trasporto per eccellenza senza barriere. E’ però vero che non è possibile accedervi senza l’aiuto di un accompagnatore ma il personale a bordo è disponibile e formato per la salita e la discesa dei rotellati, pertanto si può viaggiare tranquillamente non accompagnati.  In caso invece ci si trovi in zone non servite dai vaporetti, è possibile accedere al servizio offerto da Sanitrans che con imbarcazioni munite di sollevatore idraulico accompagnano chi ha problemi di mobilità, in particolare i residenti che vanno al lavoro o che devono fare delle terapie mediche.

Dalle prime ore passate a Venzia mi viene il sospetto che l’acqua è più accessibile della terra ferma per le rotelle. Avremo modo di tornare a raccontare le storie incontrate in laguna, l’arte, l’accessibilità e l’estetica e la filosofia di Venezia per tutti, ora ci prepariamo per la partenza in crociera.

Tutti a bordo !

All’ora del tramonto, ci imbarchiamo sulla Costa Fascinosa, nave ammiraglia della Costa Crociere, che ci ospiterà per questa crociera, per sette giorni a spasso nel Mar Mediterraneo. Vediamo la nave dalla barca della Sanitrans e da subito mi rende conto della sua grandezza e maestosità, è talmente imponente che sembra che ti vuole mangiare in solo boccone, mi sento Pinocchio davanti alla balena. Tra l’altro con Pinocchio ho diverse somiglianze tra naso e rigidità.

Salendo a bordo o meglio entrando dentro alla pancia, ti rendi conto del mondo che c’è al suo interno, non verrai ingoiato e nemmeno masticato ma anzi si potrebbe trovare, quella sicurezza che molte volte a terra non trovi, devi solo lasciarti trasportare, anche Pinocchio trovò Geppetto nella pancia della balena.

Ci sistemiamo velocemente nelle cabine ma poi, come tutti corriamo a vedere lo skyline di Venezia, è impagabile passare davanti a Piazza San Marco e vedere tutta la laguna dall’alto. Usciamo dal canale con estrema naturalezza che pare impossibile  essere sopra ad un gigante del mare; i passeggeri sono tutti elettrizzati e smaniosi di vedere tutto quello che si può fare, tra ristoranti, piscine, ascensori e negozi. Io non vedo l’ora di raccontare, intanto posso dire tranquillamente che le rotelle girano con estrema facilità in ogni parte della nave.

Il trono perduto

Gestire tutto quel fermento che gira nell’aria, quando s’imbarcano più di 3000 persone (agitate, impazienti e piene di aspettative per la tanto agognata vacanza) non dev’essere per nulla semplice e dev’esserci una macchina organizzativa perfetta, in cui tutto si incastra; basterebbe che venisse a mancare anche solo un piccolo tassello per mandare a monte il lavoro di tutta un’organizzazione.

Arriviamo alla hall d’ingresso, gremitissima (questa crociera è over booking) e tra ascensori e luci vedo delle telecamere e luci puntate nella zona in ci siamo accomodati. In quel momento tutto il mio ego fuori esce e già vedo l’immagine di Rotex che lampeggia in ogni luogo, mi chiedo anche se è il caso che venga immediatamente truccato, non mi sento molto presentabile ma tutto questo mio film mentale dura 10 secondi: le luci e le telecamere non sono per me ma per un tronista, già c’è una troupe di “Uomini e donne” e tutto quel clamore è per lui (scusate l’ignoranza ma non so’ il nome del tronista in questione, è dura essere poco informati) e dire che pure io sono seduto sul mio trono da anni e anni e perderlo così non è facile da sopportare!

Deluso e amareggiato mi reco nella mia cabina, nella speranza di essere fotografato per lo meno dal mio smartphone. Quando sono stati imbarcati tutti i passeggeri viene effettuata obbligatoriamente l’esercitazione per l’evacuazione d’emergenza, pertanto dalle cabine veniamo accompagnati dal personale, con il giubbotto salvagente, sul ponte in cui vi sono le scialuppe. Questa procedura che può, per molti sembrare una perdita di tempo, in realtà da l’idea della grandissima organizzazione che c’è su questi giganti del mare. In caso d’emergenza, gestire 3000 passeggeri, 3000 chiacchere, 3000 bla bla, 3000 battute (comprese le mie) non dev’essere per nulla semplice per l’equipaggio che lo ripete tutte le sante settimane. Intanto ci prepariamo ad avvistare Bari che sarà la nostra prima tappa.

Bari, Bàre, Vàre

Guardare le città dal mare da sempre una prospettiva diversa, mentre tutti i passeggeri sono accovacciati sui ponti per ammirare l’entrata nel porto di Bari, il più grande del Mare Adriatico, io mi perdo nell’osservare un’anziana signora che sta finendo la colazione. Avrà circa ottant’anni, calze bianche e golfino grigio, è seduta su una sedia argento con la stessa postura che mantiene quando è seduta sulla sedia di plastica bianca fuori dalla propria casa e chiacchera con le vicine sull’andare e venire della gente che passa. Guarda tutti con un’aria perplessa, mi chiedo cosa penserà di tutti questi vassoi pieni di cibo, lei che in altri tempi avrà avuto poco da mangiare, mi chiedo quanto realmente le possa piacere essere lì oppure preferirebbe starsene nel suo vicolo a ciacolare; ad un tratto un ragazzo inizia a filmare con un ipad l’arrivo nel porto e lei con lo sguardo da bambina curiosa inizia a sbirciare le immagini che scorrono sullo schermo, sorride e mi pare che dica “roba da matti”. Poi sento un trillo, è il suo telefonino, qualcuno le chiede qualcosa e lei urla “sto quiiii…sto qui….sulla balconata… Angelaaaaa…”.

Abbiamo poco tempo per visitare Bari, a dire il vero mi pare di essere ad Udine, piove a dirotto e fa freddo. Iniziamo a fare un piccolo giro per le vie della Bari vecchia. Ovviamente scendiamo armati e scortati e nascondiamo tutti i preziosi che abbiamo, in quanto degli amici e tra i passeggeri gira voce che tra le vie di Bari bisogna prestare massima attenzione, in quanto ci potrebbero essere scippi e rapine. Paura! Ora mi chiedo ma possibile che nei confronti di alcune città del sud, ci deve ancora essere questa nomea di criminalità e malavita? Possibile che ci deve essere ancora questa “paura” nel girare per alcuni luoghi come se il tempo si fosse fermato a 30 anni fa? Possiamo evitare di dirle certe cavolate che poi girano e nuocciono alla rispettabilità di un luogo.

Iniziamo a giare per le vie del centro e come spesso accade in numerosi centri storici della Puglia, anche Bari non si smentisce per la comodità di fare girare le rotelle, entriamo nella Basilica di San Nicola che al di fuori del mondo cristiano ha dato origine al mito di Santa Klaus ovvero Babbo Natale. Nella basilica sono conservate le sue relique e la cripta in cui si trovano è facilemente accesibile grazie alla presenza di un ascensore. Finita la visita ci aggiriamo per i vicoli, tra donne che fanno le orecchiette, profumo di pane e pizza e una sbirciatina all’interno delle case che sono al livello della strada. Se avessimo avuto più tempo, avremmo potuto effettuare dei tuor, magari al Castello Svevo oppure alle Grotte di Castellana, sino a località più distanti come Polignano a Mare o il Salento ma ci saranno sicuramente altre occasioni per raccontare la Puglia. La sirena della nave ci chiama, dobbiamo imbarcarci.

Juana

Juana ha 26 anni, lavora come guest service operator ed è al suo 4 contratto per Costa. Sto imparando che i membri dell’equipaggio scandiscono il tempo a bordo non in anni ma in contratti. Un contratto può variare dai 9 ai 4 mesi. Solitamente trascorrono 8/9 mesi a bordo e poi il resto del tempo a terra. Juana porta la sua divisa con estrema eleganza, sul bavero della giacca spiccano 5 bandiere: portoghese, spagnola, inglese, francese, italiana e sono rispettivamente le lingue che parla; inoltre come tutti i membri dell’equipaggio ha il badge in cui è indicato il nome e la bandiera della nazionalità in cui è nata, la sua è brasiliana.

Essere alla reception significa essere alla porta d’ingresso e il primo approccio può essere fondamentale per iniziare bene la settimana in crociera. Lei lo sa molto bene e sa quanto il suo atteggiamento e le sue risposte possano essere determinanti per far in modo che il cliente si senta considerato. Quando si parte per una vacanza, vogliamo, anzi pretendiamo, che sia meraviglios; dev’essere la settimana più bella dell’anno, deve andare tutto bene, non deve piovere, non deve far freddo, il rubinetto del bagno non deve perdere, il cibo deve essere buonissimo, tutti devono essere gentilissimi. Tutto deve essere perfetto! Per il turista è la sua settimana, per chi lavora sono così tutte le settimane e fare in modo che sia sempre tutto perfetto non è facile.

Juana ha due armi per affrontare le aspettative dei clienti: il sorriso e la calma. Davanti ad un vero sorriso e alla calma, tutto si smorza e non si può fare altro che lasciarsi andare. Ci spiega in maniera dettagliata la sua attività di receptionist e intanto la sua dolcezza e delicatezza ti conquistano. Quel sorriso che inizialmente mi sembrava un’arma d’attacco in realtà è un’arma di difesa, sorride quando s’imbarazza, sorride per proteggersi. Ci spiega che la nave, poco alla volta, ti conquista, che diventa la tua famiglia, che se hai qualche problema vai al ponte 0 (dove vivono i membri dell’equipaggio) e sicuramente troverai qualcuno con cui potrai piangere, ridere e sfogarti. Ci spiega che ci sono momenti in cui la famiglia e gli amici, che sono lontani, gli mancano tantissimo, che piange quando li vede attraverso skype, che vorrebbe abbracciarli ma poi tutto passa perché arriva la compagna di stanza o il collega con cui si trascorrono 13 ore al giorno di lavoro e la fanno sorridere. La nave non la lascia mai sola, la protegge e si prende cura di lei.

Juana ha scoperto quanto la nave fosse importante, il giorno in cui è sbarcata, dopo la fine del primo contratto. Era felice di ritornare a casa, dopo mesi a bordo. La compagnia gli aveva prenotato la camera in un albergo a terra. Si era fatta una doccia e poi, stanca e felice, si era messa a letto, sapendo che il giorno dopo sarebbe tornata a casa, nel suo Brasile. Ad un tratto, però, sentì lo squillo della nave in partenza che stava lasciando il porto, corse alla finestra e la vide nella sua maestosità. In quel preciso momento si rese conto che stava partendo senza di lei, l’aveva lasciata lì e l’aveva abbondonata sulla terra ferma. In quel momento capì quanto la proteggeva, quanto aveva bisogno di stare sulla nave, quanto le dava protezione. La nave, o meglio la compagnia, si prende cura di lei, come di tutti i membri dell’equipaggio, quando si sta male si chiama il medico, se bisogna tornare a casa organizzano immediatamente il rientro, ci sono amici pronti a starti vicino con cui dividi ogni momento di gioia o pianto. Sulla terra ferma possiamo dire la stessa cosa? Che ci sentiamo così protetti? Non saprei rispondere con certezza a questi quesiti.

Prima di salutarci, vuole farci un regalo, ci chiede se vogliamo vedere il suo diario fotografico, va in cabina e torna con un album rosso in cui vi sono le sue fotografie: di quando era bambina e teneva per le mani un pesce gatto enorme appena pescato dal suo papà, di mare e di spiagge del suo bellissimo paese, altre foto in cui è in Argentina, sotto la Torre Eiffel dove ha sentito per la prima volta tanto freddo. E poi l’Italia, la Spagna, i fiordi della Norvegia e mentre giro le pagine inizio a capire che quel sorriso di bimba nasconde in realtà una donna che è molto più sicura di sè di quanto lei stessa possa immaginare; mentre il mondo gira anche Juana gira con lui. Buon viaggio !

Un’Italiana a Izmir

Arriviamo a Izmir o Smirne al mattino presto, è la prima volta che rotello in Turchia. Al porto incontriamo Carmen, un contatto di Francesca che ci accompagnerà a visitare la città. E’ mattino, dobbiamo svegliarci e siamo tutti impazienti di assaggiare il caffè turco;  mi spiegano che devo lasciarlo riposare per un attimo prima di berlo, in quanto si deve depositare il fondo. Aspetto, soprattutto perché è bollentissimo, poi come al solito devo fare di testa mia ed inizio a raschiare tutta la tazzina, alla fine non è male mangiarsi anche il fondo. Poi, poco alla volta capisco perché non andava divorato, a parte essermi giocato la possibilità di farmi predire il futuro, avrò per tutto il giorno i residui di caffè in gola, che in maniera casuale mi toglieranno la voce (per la gioia di tutti).

Con il raspino in gola arriviamo a Konak Meidani, ovvero la Piazza del Governo ottomano, adornata da un giardino di cactus. Nel mezzo c’è la Torre dell’Orologio simbolo di Izmir e una piccola moschea, ovviamente non è possibile che rotelli sopra al tappeto, per motivi igienici bisogna togliersi le scarpe, per me togliere le rotelle è un po’ complicato pertanto mi godo la sobrietà della piccola moschea dall’ingresso. Intanto che ce ne andiamo verso il bazar inizio a conoscere Carmen, lei è originaria di Reggio Calabria, dove si è laureata in ingegneria civile. Durante il suo dottorato di ricerca si è trasferita per due anni a San Diego (USA) e lì ha conosciuto quello che sarebbe diventato suo marito, Ozgur, che è turco. Si sono sposati a Reggio Calabria e hanno deciso di vivere in Turchia. In Italia non avrebbero potuto lavorare o meglio campare con un lavoro di ricercatori mentre in Turchia questo è possibile. Facciamoci qualche domanda quando crediamo di essere una grande potenza occidentale. Ora lavora come assistant professor in una delle università private di Izmir dove fortunatamente tutti i corsi sono in lingua inglese visto l’elevato numero di studenti internazionali.

Carmen è felice di vivere in Turchia, Izmir è simile a Reggio Calabria, basta guardare il lungo mare e la luce per farla sentire a casa. Izmir è considerata la città più liberale della Turchia, la gente è molto cordiale, al mercato locale la riconoscono come “l’italiana”. La famiglia di suo marito, come del resto la Turchia, è laica e non ha mai avuto alcun problema ad essere straniera o di diversa religione anzi al contrario è stato motivo di confronto, per imparare da entrambe le culture. A casa loro si celebra il Natale così come il Bayram. Noi occidentali crediamo che le donne siano costrette a portare il velo, il suo uso è stato abilito da Ataturk tanto tempo fa. Mi spiega che l’uso del velo in Turchia tra i giovani è più che altro religioso mentre per le persone anziane che vivono nei villaggi è legato alla tradizione, ma è un tipo di velo differente. Ad Izmir si vedono molte volte le madri con il velo a passeggio con le loro figlie che invece non lo indossano. Mentre se ci si sposta verso l’interno della Turchia la situazione è completamente diversa. Lei non indosserebbe il velo, non fa parte della sua cultura, lo indossa solamente quanto va a visitare le moschee, sono luoghi religiosi ed è corretto portare rispetto alla sacralità del posto. Carmen sta aspettando un bambino, gli chiedo cosa gli insegnerà da questi due culture, da queste differenze e diversità e lei mi risponde “ non ci sono tutte queste differenze e diversità, gli insegnerò che è normale essere diversi”.

Vite da crociere

La domanda è sempre la stessa: “Ma non ti manca la vita a terra? Non ti mancano i tuoi affetti?”. Questa è la prima cosa che ti viene spontaneo chiedere ai membri dell’equipaggio, dal capitano al commis di sala, è il grande quesito che noi gente di terra, che abbiamo orari d’ufficio, che possiamo decidere dove andare alla sera quando abbiamo finito di lavorare, che crediamo di poter decidere con chi possiamo stare o dove poter andar, poniamo. Loro, la gente di mare, è abituata a sentirsi fare questa domanda e sanno che faremo fatica a capire la loro scelta, che non è solo lavorativa ma di vita.

Alcuni iniziano per caso e sanno che sarà solamente per un periodo magari una stagione, altri vogliono girare il mondo e conoscere nuovi luoghi e nuove culture, altri nascono in luoghi dove la vita di mare fa parte del loro DNA ed è il loro destino, altri non hanno altre scelte lavorative, altri vogliono scappare da quello che c’è a terra, altri vogliono ricominciare, altri vogliono iniziare, altri vogliono finire. A tutti manca la terra ferma, a tutti mancano i loro cari, a tutti pesano le numerose ore di servizio a cui sono sottoposti, ma tutti si sentono protetti dalla nave, sono in molti che non possono più farne a meno.

Il capitano, Ignazio Giardina, ha 32 anni di navigazione alle spalle con Costa Crociere di cui 12 come comandante; in comune abbiamo una data il 5 maggio 2012, per me è la data in cui è partito Rotellando, per lui è la data in cui è stata inaugurata la Costa Fascinosa di cui è stato il primo comandante. Nulla è mai un caso. E’ nato a Pozzalo (Ragusa) e per lui la scelta del mare è stata quasi naturale, era lì di fronte perché non entrarci. Essere comandante di una grande nave come Costa Fascinosa, che vanta 1100 persone d’equipaggio e 3800 passeggeri, è motivo di grande responsabilità. Bisogna avere grande preparazione e sensibilità soprattutto verso la diversità. Già perché mettere insieme persone che arrivano da 45 nazionalità diverse, con religioni ed usanze differenti non dev’essere facile. Per questo ci vuole un’organizzazione precisa che tenga conto del singolo ma anche di tutta la comunità. Gli preme sottolineare da subito che un buon comandante lo è quando riesce a formare un gruppo di lavoro unito, quando l’equipaggio diventa una famiglia. Ci spiega che la nave è un mondo a parte ma è necessario mantenere sempre un ponte fermo e costante con la terra ferma, se è vero che si trascorrono lunghi periodi di assenza dalle proprie famiglie è anche vero che ci sono periodi in cui si resta a casa e ci si dedica totalmente a loro ma il richiamo del “ferro” (ovvero della nave) arriva sempre prima o poi. Il capitano è un uomo disponibile che si divide tra foto ricordo con i passeggeri, ad incontri con il personale, a momenti formali e festaioli a quelli più decisivi, insomma dev’essere in ogni luogo altrimenti che Capitano sarebbe !

E se per il Capitano la scelta del mare è stata quasi naturale, per Tanja, che lavora come maitre de rang in un dei tre ristoranti della nave, è stato un motivo di rivincita e rinascita. Per lei che è nata a San Paolo in Brasile, che ha appena compiuto 40 anni, che ha 4 figli già grandi e un matrimonio turbolento alle spalle, imbarcarsi sulle navi è stato motivo di rinascita. Ha imparato l’inglese via web, ha fatto le selezioni per essere assunta e senza accorgersene si è trovata imbarcata. Tanja è una forza della natura, ha due occhi così vivaci che potrebbe dare energia a tutta la Fascinosa. Si commuove quando racconta che il capitano, quando facevano la rotta in Brasile ed arrivano al porto, andava a prendere il figlio più piccolo per portarlo a bordo per farli stare insieme. Si arrabbia e s’ingelosisce quando pensa che il suo compagno polacco, conosciuto sulle navi, per un errore burocratico è stato imbarcato sulla Costa Classica ed ora sino a novembre non si vedranno e poi… e poi forse potrebbe decidere di sposarsi e andare a vivere a Varsavia. “Mamma mia, in Polonia! Che ci fa una brasiliana là?” – mi domando. Credo che se lo chieda anche lei, se riuscirà a lasciare questa vita, dove si muove come fosse una regina, anzi lo è per padronanza e vivacità, dove ha la possibilità di conoscere il mondo e andare nel mondo ma soprattutto dove la nave la fa sentire protetta come una figlia, lei che figlia lo è stata per troppo poco tempo. Quanto mi piace rotellare per questa nave, accessibile alle rotelle sotto la mai sedia ma soprattutto mi fa girare quelle che in testa. Mi mancavano “le storie”.

Istanbul

Istanbul è bella, Istanbul è meravigliosa, Istanbul incrocio tra Occidente! E’ proprio così: Istanbul è  uno spettacolo per i sensi ! Ti colpisce e ti stende senza possibilità di replica, lo comprendi quando inizi a vederla da lontano, scorgi i minareti e, man mano che ti avvicini a lei, resti incantato e ti accorgi che non ti può deludere. Certo come potrebbe farlo essendo l’unica città al mondo divisa tra due contenenti –  Asia e Europa –  non può che essere ricca di energie e sinergie.

Iniziamo il giro con la nostra guida Elif che ci accompagnerà per tutto il giorno: prima si va all’Ippodromo e poi ci si va a visitare la Moschea Blu che si chiama così per le milioni di piastrelle  blu inserite nella cupola e nelle pareti. All’ingresso faccio il cambio veicolo, lascio la mia carrozzina con le rotelle sozze ed entro con quella fornita dalla moschea, certo non è proprio della “mia misura”, potremmo starci in 4 seduti in questo seggiolone rotante, però l’importante è rotellare sul tappeto della moschea. Mi avvio verso la zona di preghiera, lì dando le spalle al gregge dei turisti (anch’io sono una pecorella smaritta) che tentano, e un pò ci riescono, a togliere la suggestione e la spiritualità del luogo, guardo verso la Mecca dove ci sono inginocchiati in preghiera dei giovani uomini; riesco ad allontanarmi per un attimo da tutti, è una sensazione di grande pace, è bello questo luogo così semplice ma così maestoso. Mi piaccio le mosche perchè hanno lo scopo di servire solo per preghiere e non ci sono fasti e ricchezze (ogni riferimento a chiese e luoghi è puramente casuale).

Mi accorgo forse per la prima volta del rituale della preghiera ovvero dello ṣalāt in cui vi sono dei precisi movimenti del corpo che non sono solamente quello di chinarsi verso la Mecca. Chi ha problemi di mobilità non è tenuto ad effettuare tali posizioni, può muovere quello che la sua condizione gli consente, fosse anche solo l’apertura e la chiusura degli occhi. Le preghiere devono essere condotte nei tempi giusti con una purezza rituale e col vestiario appropriato. Durante la preghiera, l’uomo deve coprire le parti del corpo tra l’ombelico e le ginocchia. La donna deve avere coperto tutto il corpo, tranne le mani e il viso. La purezza rituale si realizza attraverso una serie di operazioni di lavaggi con acqua pulita. Queste operazioni si chiamano “abluzioni” e devono essere fatte prima della preghiera. Dopo l’abluzione, uno entra alla moschea e comincia la sua preghiera su un tappeto, rivolto verso la Mecca.

Dopo aver visitato la Moschea Blue, andiamo alla chiesa di Santa Sofia, chiesa cristiana convertita in moschea. Mentre passeggiamo, Elif cerca di giustificarsi per le barriere architettoniche che incontriamo, nonostante continui a dirgli che sono le stesse che trovo in Italia o in altri paesi d’Europa non si da pace. Effettivamente non vi è un’attenzione spiccata per l’accessibilità, le scelte di abbattimento vengono fatte un po’ così ma ci stanno lavorando e in linea di massima giro agevolmente. Proprio mentre andiamo verso il Palazzo Tokapi, in cui viveva il sultano, incontriamo un info point di Dunya Engelliler Vakfy (World Disability Foundation). Il ragazzo al gazebo ci spiega che offrono una visita guidata gratuita alle persone con problemi di mobilità o non vedenti all’interno del palazzo o in altre zone di Istanbul. Questo progetto è sponsorizzato dalla Gursoy, una nota marca di nocciole (la Turchia è il maggiore produttore mondiale di nocciole). Il WDF è un’organizzazione che cerca di favorire i diritti delle persone con disabilità e i suoi fondatori sono figure molto conosciute in Turchia e hanno concesso i loro nomi e il loro contributo per la Fondazione. L’obiettivo è aumentare il potenziale delle persone con disabilità e le minoranze del mondo per diventare una forza attiva nella società.

Altra visita obbligatoria in una giornata ad Istanbul è il Gran Bazar , che è proprio un gran bazaz: confusione, colori, profumi e odori; insomma quello che ci si aspetta in luogo del genere. Essendo diventato un luogo turistico e, visto che oramai troviamo tutto da per tutto, perde un po’ del suo fascino, anche se accessibilissimo per le rotelle in quanto a terra vi sono le piastrelle.

Mi rendo sempre più conto quanto questa città possa essere considerata simbolo dell’unione della diversità, in cui religioni, culture e filosofie si amalghamono e si rispettano. La città perfetta per un rotellando, toccherà tornarci! La Costa Fascinosa con il suo suono ci chiama, ma questa volta c’è anche quello della moschea che chiama i fedeli alla preghiera e non c’è miglior saluto che Istanbul potesse darci.

Intolleranza zero

Unire la diversità e rendere normalità spesso può sembrare solamente un pensiero filosofico, invece il modo per renderlo reale c’è. La nave è un luogo ove si ha la possibilità di ricreare un piccolo mondo che non c’è, in cui attuare i desideri che si hanno sulla terra ferma. Un mio desiderio sarebbe quello di muovermi in città accessibili come la nave, dove non ci sono scalini, al massimo qualche rampa, dove sei certo di poter andare al ristorante, al cinema e in piscina senza doverti informare se vi sono scale o scalette. Dove gli ascensori funzionano, in cui non ci sono strade con crateri e rischi di ribaltarti. Insomma, un luogo in cui posso andare in giro a testa alta e guardare tutto quello che mi circonda senza avere la preoccupazione che una rotella entri in buco.

Queste balene del mare nascondono anche sensibilità ecologiche ed ambientali. Costa è stata la prima al mondo a ricevere per l’intera flotta la “Green Star” del RINA. L’importante riconoscimento certifica che le sue navi contribuiscono a mantenere puliti l’aria e il mare al di là di quanto richiesto dalle normative internazionali. Sulle navi Costa si effettua la raccolta differenziata per il 100 per cento dei rifiuti solidi e nessun rifiuto solido (cibo trattato a parte che va ai pesci) viene scaricato in mare. Ogni anno, centinaia di metri cubi di alluminio e migliaia di metri cubi di vetro provenienti dalle navi sono inviati al riciclo. Vengono differenziati e lavorati direttamente sulle navi e poi scaricati nei porti. L’acqua utilizzata è per la maggior parte prodotta dai dissalatori di bordo e le navi sono dotate di doppio separatore di acque oleose di sentina – ci viene spiegato dall’Ufficiale all’ambiente.

Includere, ad esempio, vuol dire anche dare la possibilità, a tutti coloro che hanno delle intolleranze o delle allergie, di mangiare tutti insieme. Già perché spesso chi ha problemi di questo genere evita di uscire a mangiare, perdendosi dei momenti di condivisione. Massimo Gilardin – primo maitre della Costa Fascinosa – ci spiega che questa “discriminazione” non esiste nei ristoranti delle navi, infatti vengono cucinati cibi avendo l’attenzione nell’eliminare determinati ingredienti e in caso a bordo non ci fossero gli alimenti giusti al primo porto vengono di norma acquistati. Questi ed altri accorgimenti che vengono attuati sulle navi da crociera possono essere trasferiti sulla terra ferma e non è un problema di proporzioni ma solamente di darsi delle regole e dei principi a cui attenersi. La tolleranza non è solo accettazione delle problematiche altrui è anche fare in modo che scompaiano.

Dubrovnick

Risalendo dal Mediterraneo, l’ultima tappa di questa crociera è Dubrovnik di fronte al nostro Gargano. Non entreremo in porto con la nave, verremmo imbarcati nelle scialuppe e mi accorgo che non ci sono più le scialuppe di una volta. Già mi vedevo a bordo di una barca a remi e con il salvagente indosso, invece sono anche loro delle piccole navi che si staccano da mamma Fascinosa per prendere il largo: le fascinosette. Inoltre, per la prima da quando siamo partiti per questa crociera, al porto troviamo un furgone attrezzato per la carrozza.

Dubrovnick ha un bellissimo centro storico che rientra tra i Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco, è ben curato e sono state cancellate tutte le tracce dei conflitti passati e recentemente trascorsi. Una delle particolarità degli case di Dubrovnick è che sono stati costruiti su tre livelli (per mia grande gioia, si fa per dire) e in maniera opposta a come siamo abituati: al primo livello vi sono le camere da letto, al secondo la sala da pranzo e all’ultimo la cucina. Questo perché in caso d’incendio del camino sarebbe bruciato solamente l’ultimo piano e non tutta la casa. Prospettive diverse, noi costruiamo per fare in modo che il caldo salga e scaldi tutta l’abitazione, altri si proteggono. Quale sarà quella giusta? Beh ovviamente tifo per le case su un livello, ma si sa, sono di parte.

Cerchiamo tracce dell’ultima guerra di Jugoslavia e, a parte una mappa in cui vi sono indicati i bombardamenti con distruzioni totali e parziali (il principale bombardamento che colpì anche il centro storico avvenne il 6 dicembre 1991, appena 22 anni fa, causò enormi danni e vittime), resta una flebile traccia dei danni subiti. La genti di qua non ama parlarne molto, come se fosse una ferita ancora troppo aperta. Ci vuole tempo prima di rimarginare una ferita profonda e i modi per farlo possono essere diversi, dalla rabbia a far finta che non sia mai successo nulla. Si cerca di dimenticare, di coprire con nuova vita, nuovi incontri. Pare che l’unico modo per dimenticare sia il nuovo.

Credo, in maniera molto superficiale, che la ferita della guerra di Jugoslavia debba diventare storia prima di essere ricordata. Certe volte noi turisti ci aspettiamo di vedere i tetti ancora mitragliati solamente per il “piacere” di fotografare e dire al nostro rientro che abbiamo visto quello che la “guerra” ha fatto, la medesima cosa capita per le calamità naturali. Facciamo il viso contrariato e dispiaciuto mentre guardiamo la distruzione ma dopo trenta secondi la nostra attenzione è già sulla prossima veduta panoramica e già ridiamo o piangiamo d’altro. Forse dovremmo piantarla di andare a cercare la guerra dove c’è stata veramente e cercare i luoghi e le storie di chi ha sofferto, forse dovremmo semplicemente lasciarci trasportare da quello che c’è ora…e già facciamo fatica a comprendere quello. Ora a Dubrovnik c’è voglia di lavorare e la speranza dei croati è quella di non dover emigrare all’estero per mantenere se stessi e le proprie famiglie.

Legami

E’ vero, si sale come turisti con occhiali scuri e grandi capelli, poi le serate di galà ti portano ad essere passeggero, le signore (di ogni età) possono sfoggiare i loro vestiti eleganti e  sentirsi in due sere di fila vere e proprie starlette di Hollywood.  Al mattino mangi ogni ben di Dio, con il vento nei capelli (chi li ha) e la terra, con tutti i suoi casini, è lontana. Poi, poco alla volta, se ne hai voglia, inizi ad ascoltare cos’è la nave e senti anche tu quel fantomatico richiamo del ferro.

Pare che ci sia tutto il mondo e che gira proprio lì, in realtà ti stai chiudendo fuori dal mondo e allora inizi a chiederti se veramente se più libero in mezzo al mare oppure sulla terra ferma. Sarei rimasto a bordo per altre settimane solamente per cibarmi dei racconti e delle storie della crew, tanta vita!

Quando ritorno da un viaggio o da una vacanza, mi preme portarmi a casa dei legami, più o meno stretti, ricordi di persone e sguardi di complicità che sono durati trenta secondi oppure ore. Solo quando ho questi souvenir di “legami”, mi ritengo soddisfatto del viaggio fatto. I legami si costruiscono con le chiacchierate, come quelle fatte tutte le sere con Tanya, ma anche con casualità, come quella avvenuta con Edoardo, un commis di sala, che mentre giro per il buffet, cercando di acchiappare qualche cibaria tra turisti affamati come leoni a digiuno, mi chiede se avevo bisogno d’aiuto. Già per i rotellati il buffet è un inferno, primo perché portare il vassoio in carrozzina non è la cosa più semplice da fare, secondo non si vede quasi mai nulla di quello che c’è dentro ai vassoi e terzo sei circondato da persone che non guardano dove vanno e che ti schiaccerebbero per una mozzarella rancida. Con l’esperienza da pilota rally ho imparato a schivare tutti gli ostacoli che si aggirano durante la guerra del buffet ma quella del vassoio è senza dubbio il problema più grande. Eduardo capisce  subito che sono in difficoltà e corre in mio aiuto, come spesso fanno i ragazzi che lavorano al ristorante. Edoardo parla italiano un poco, inglese abbastanza e tanto spagnolo, fatto sta che inizio a dirgli cosa voglio, un po’ in dialetto ossolano e un po’ in ingloitalospanish e lui si butta in mezzo alla gente per prenderlo.

Se le persone possono, eventualmente, essere educate con un rotellato, non lo sono per nulla tra simili, quindi Eduardo è costretto a prendersi insulti e spintoni gratis. Eduardo è giovanissimo, ha 19 anni, un sorriso che fa provincia, è brasiliano e si è imbarcato da circa 9 mesi, appena ha compiuto i 18 anni. Di sera ci da appuntamento al ristorante e quando finisce, all’una, iniziamo a chiacchierare. E’ felice di questa nuova esperienza, spera di fare carriera e, magari un giorno, sarà primo maitre di sala. Eduardo ci presenta orgoglioso i suoi colleghi/amici, sottolineando la nazionalità di ognuno; è fiero di stare con persone di culture differenti, sa che lo trasformeranno in un uomo diverso e più forte. Ha una predilezione per gli Indonesiani perché sono molto calmi e gli danno tranquillità, gli indiani un po’ meno ma più per un discorso “di naso”, diciamo così. Uno dei suo compari è del Guatemala e poi c’è il ragazzo vietnamita e via via…tanti visi e tanti sorrisi.

Ci vorrebbe far visitare la sua cabina, giù al ponte zero, dove non ci sono gli oblo, ma soprassediamo, non vorremmo farlo incorrere in qualche punizione anche se mi avrebbe fatto davvero piacere andare a “casa” loro.

La crociera è al termine, Venezia riappare all’alba e non al tramonto e mi rendo conto che sarà la crew il “legame” di questo viaggi; il sorriso di Eduardo, di Tanya e di Paula saranno i miei souvenirs.

Marco Resti

Fotografo professionista, specializzato in reportage sociale, eventi e viaggio. Marco è membro del Nikon Professional Service e dell’associazione Shoot4change. Grazie al suo lavoro viaggia per il mondo, in particolare Africa e India, per produrre reportage, storie e workshop on the road. Negli ultimi anni sta portando avanti alcuni progetti fotografici, con associazioni che si occupano di “diversità”.