Rotellando in Marocco con Alessandro Abrusci

La mia conoscenza su questo paese è limitata principalmente ai suoi abitanti, che da anni emigrano nel nostro paese e ai prodotti che gli immigrati stessi hanno importato – tappetti, spezie, cous cous che oramai cuciniamo come se fosse un nostro piatto tipico. Molto poco so invece  della sua storia, della sua cultura e della sua bellezza.

L’Ente del Turismo del Marocco ha organizzato per noi un ottimo itinerario; da Marrakech, alla kasbah di Ait Ben Haddou e di Ouarzazate (già immagino le stradine mica tanto comode per le mie rotelle) percorrendo la Valle del Draa, sino al bivacco nel deserto, proseguendo verso la Valle e le gole Dadès e molto altro.

Le immagini che mi scorrono sul video del pc (un pò di preparazione, non troppa, sia mai, prima della partenza ci vuole) di questi luoghi sono a dire poco sorprendenti ed affascinati, ora è giunto il momento che il virtuale si concretizzi in reale. Compagno dell’avventura marocchina sarà Alessandro Abrusci, oramai siamo un duo collaudato in territorio africano, con lui abbiamo rotellato in Sudafrica, ora ci spostiamo più a nord. Iniziamo questa avventura certi che sarà un esperienza ricca di occasioni, nuove conoscenze e nuove diversità.

Bergamo – Marrakech

Il volo per Marrakech parte da Bergamo ed è un volo Raynair, quindi solita bagarre al check-in per il peso dei bagagli. Io mi sono dimenticato di fare il check-in online. Pago! Imparo. Anche se le procedure di questa compagnia sono sempre traballanti, sino a pochi mesi fa le persone con mobilità ridotta non dovevano farlo, il posto veniva assegnato all’imbarco, mentre ora è una procedura automatica, non lo sapevo pertanto sgancio € 70,00.

Mentre ci imbarchiamo, sorrido osservando i passeggeri, in particolare il connubio marocchini/bergamaschi, tanto diversi ma molto simili. Entrambi con un marcato accento, sentirli mixati ed urlanti nell’aereo è un esperienza non da poco. Sono due popoli che alcune volte si guardano in maniera sospettosa, ma si sono abituati a convivere, alcune volte spingendosi altre aiutandosi. Entrambi chiassosi, ruvidi e generosi. Marocchini che tornano a casa con le loro valigie strapiene, portando nel loro Morocco un po’ dei guadagni ottenuti dal lavoro sudato in Italia, marocchini che non vedono l’ora di risentire quei ritmi che in Italia faticano a ritrovare. Bergamaschi che vanno alla ricerca di profumi differenti e per qualche giorno saranno loro ad essere a casa d’altri e forse quando saranno là si ricorderanno dei loro nonni. Quei nonni che partivano dalle valli povere del nord, per cercare una vita migliore che non fosse fatta solo di capre e latte, ora i nipoti l’hanno dimenticato e forse riusciranno a meglio comprendere del motivo per cui i marocchini “non stanno a casa loro”.

E’ proprio guardando le case altrui che si può capire perché si è costretti ad abbandonarle, per andare alla ricerca di un lavoro che non c’è. Un volo low cost come quello “Bergamo – Marrakech“ è un’esperienza che i nostri politicanti dovrebbe fare, sedersi per esempio al 29C ad osservare e a guardare e forse si accorgerebbe quanto il mondo sia già andato oltre a quello che predicano.

Da piccolo nordico, schizzinoso con il mio Iphone e il mio Ipad sbarco a Marrakech. All’aeroporto incontriamo Ibrahim, sarà la nostra guida per il periodo in cui staremo in Morocco. Il nostro mezzo di trasporto sarà un fuoristrada Rover che non servirà molto a Marrakech ma servirà sicuramente nel deserto e nelle strade sterrate nei paesi delle varie valli. E’ notte quando atterriamo e così andiamo direttamente in albergo al Kenzi Menara Hotel e già si sente il profumo di queste terre. L’albergo è immerso nell’essenza del profumo dei fiori d’arancio che j’adore ! Ecco qua, si parla francese, che non amo, che ho odiato sin dalle scuole medie, insieme a tutti i professori che hanno provato, inutilmente ad insegnarmelo. Si capisce sempre troppo tardi che le lezioni vanno seguite.

Marrakech 2.0

Apro gli occhi, sono a Marrakech, così dice la mia memoria anche se ancora non ho visto nulla di questa città e la curiosità è molta. Fatico sempre a connettermi con il mondo poi con il passare delle ore le tacche della mia connessione mentale aumentano. Proprio nei momenti di bassa connessione, posso avere delle piccole illuminazioni e quella avuta a Marrakech è quella di una rosa. E’ stata la prima foto che ho fatto, durante la colazione, per inviarla ad una persona a cui voglio bene. Foto orrenda ma profetica per il ricordo che avrò di questo paese. Profumo, spine, colori, generosità, bellezza ma anche trascuratezza e tristezza come la rosa sfiorita.

Vicino all’albergo, ci sono i giardini Menara, ricchi di ulivi (più di 30.000) e palmeti in cui le famiglie si radunano, in particolare la domenica, per passeggiare e fare dei pic-nic. Passeggiamo per il viale d’entrata sino ad arrivare in un laghetto che in realtà è un’ enorme piscina. Luogo irreale per colori e per situazione. Il colore dell’acqua è grigia/marrone e all’interno vi sono enormi pesci (forse carpe, forse squali), le montagne innevate all’orizzonte, l’abbandono del luogo ma allo stesso tempo la vitalità dei ragazzi che gironzolano intorno al parco da un senso di smarrimento di tempo, tra passato e futuro. Davanti allo pseudo lago o pseudo piscina c’è un tavolino in cui Adil scrive i nostri nomi in arabo e quello di “rotellando”, un piccolo souvenir. Adil ci mostra orgoglioso le foto che ha fatto durante un suo viaggio in Italia a Venezia e a Verona. “A l’Italia quanto è bella” – ripete e poi prosegue “italiani brava gente” – quante volte sentirò questa frase e mi chiedo quanto se sia vera o un ritornello da ripetere ai turisti. Nel frattempo cerco di fare conoscenza con il primo dromedario che incontro.

Arriviamo in Jamaa el Fna intorno a mezzogiorno e lo show del teatro a cielo aperto è già iniziato da qualche ora. Vengo accolto dai suoni e dai personaggi più disperati, la ricerca di una mancia e la richiesta di acquistare ogni qualunque è continua. I venditori d’acqua con i loro capelli rossi con le frange che battono le tazze d’ottone nella speranza di convincere le persone a bere sono i più rumorosi. In realtà siamo nella Marrakech 2.0 e pertanto tutte le richieste che vengono fatte sono in funzione alla possibilità di fare fotografie che poi partano per l’universo mondo via Instagram, o via Facebook; così mi dico che è impossibile rinunciare al selfie con la scimmietta, con il serpente, con il venditore d’acqua. I venditori di foto ti saltano subito addosso, anzi i venditori ti  fanno saltare addosso scimmiette e serpenti; inizialmente sono divertito come un bimbo al luna park e vengo preso dal momento selfie, poi guardo meglio e comprendo che gli animali sono legati con catenelle, tirati di qua e di là e bombardati e stressati da rumori, suoni che li tramortiscono e non mi sento più così divertito dagli ammaestratori di scimmie e incantatori di serpenti.

Si gira per la piazza tra bancarelle in cui vengono venduti datteri, lumache, dentiere, spezie. I colori, gli odori, i profumi e le immagini si mescolano ad una velocità sorprendente. Entriamo poco alla volta nella Medina e ci perdiamo tra le migliaia di bancherelle; è inutile dire che il trambusto e le sollecitazioni visive ed olfattive ti confondano, al punto che in alcuni momenti è come se fossi inebriato. Mi diverto molto in questo caos, certo devi stare attento a dove metti le rotelle per via delle buche, ai motorini e alle biciclette che attraversano le viuzze come se fossero in autostrada. Mi piace entrare nelle erboristerie e vedere quante erbe ed aromi ci sono, prenderei un po’ di tutto anche se poi non saprei usare nulla. Vorrei farmi leggere le carte, le mani ma forse è meglio lasciar stare, ho già dato a suo tempo e non ha portato a nulla. Forse dovrei farmi un tatuaggio (sono anni che lo dico) fosse anche solo con l’henne, ma nulla, alla fine decido per una spremuta d’arancia ma appena ti avvicini i venditori iniziano a sgomitare affinché si scelga la loro bancarella. L’unica è andare dritti ed affidarsi al caso.

Sorprese marocchine

Una delle prime cose che mi hanno colpito del panorama di Marrakech sono le vette innevate delle montagne dell’Atlante o di Atlas, non mi aspettavo di sentirmi così a casa e di essere circondato da questa meravigliosa catena. La cima più alta è il Jbel Toubkal (4165 m), che si trova nell’Alto Atlante, a pochi chilometri da Marrakech e non ha nulla da invidiare al “mio” Monte Rosa (4634 m). Con Ibrahim, la guida che ci scorrazza, in questo rotellando in Marocco, decidiamo di uscire dalla città e di andare verso sud alla scoperta di villaggi berberi e di nuovi paesaggi.

Vedere indicazioni per luoghi in cui si può sciare mi fa un certo effetto, non avevo messo in preventivo di vedere skilift e fatico non poco ad immaginare i marocchini che sciano; mi fa uno strano effetto. Viaggiare ha anche questo significato, scoprire cose che non ti aspetti. Usciamo lasciandoci dietro la città verso nuovi paesaggi. Iniziamo ad intravedere le prime kasbah, castelli appartenenti a singole famiglie, non sono molto accessibili, pertanto le ammiro da lontano, molte di esse sono abbandonate altre sono ancora abitate, altre trasformate in luoghi turistici.

Molti riad e molte kasbah sono stati acquistati dai francesi e sono in molti ad essersi trasferiti in Marocco per tutto l’anno o per alcuni mesi. Mentre dal finestrino dell’auto il paesaggio continua a cambiare dai colori più scuri del grigio a quelli più vivaci del rosso ocra, s’iniziano ad intravedere i primi villaggi berberi incastonati nella roccia, si fatica a comprendere se siano stati costruiti dall’uomo oppure dalla natura. Ci fermiamo in uno di questi piccoli villaggi e subito parte lo show. L’arrivo di un’auto da cui sbarcano un omino rotellato ed un altro che ha grandi macchine fotografiche e videocamera è fonte di grande curiosità ed entusiasmo, in primis per i bambini e poi per le donne che, nascoste dai loro veli e dalle finestre, guardano questa scena sicuramente non molto usuale.

Trascorso il primo momento di sorpresa, i più curiosi (solitamente i ragazzi adolescenti) iniziano a fare domande sulla nostra provenienza, si fatica a far decollare un dialogo in quanto per me l’arabo è arabo (il berbero poi …) e sono in pochi a parlare francese, ma alla fine si riesce, come sempre, a farsi capire, soprattutto se si vuole giocare e divertirsi un pò. Le donne nonostante non vogliano essere fotografate, poco alla volta si mettono in mostra, il velo può essere molto seduttivo ma anche questo si sa – “il vedo e non vedo” – ha sempre il suo perché. C’è comunque molta ritrosia nel lasciarsi fotografare, Alessandro spesso viene ammonito ma altrettanto spesso lasciano la liberatoria per la loro immagine, dietro piccolo compenso.

Un’altra delle mie sorprese riguarda la quantità di asinelli che vengono utilizzati come mezzo di trasporto e di carico, oramai mi ero abituato a vedere gli asinelli solamente come graziosi animali da compagnia e non più da soma. L’aria malinconica dei ciucci m’intenerisce soprattutto quando li vedo inerpicarsi per le stradine ripide e non asfaltate di questi valli. Molti di questi villaggi berberi sembrano fuori dal mondo, luoghi in cui c’è poco e nulla, dove la terra è arrida e non può produrre. Mi rendo così sempre più conto quanto possa diventare obbligatorio andarsene ed emigrare verso altre terre, più ricche in cui vi è la possibilità di lavorare, e capisco che questa decisione non è una scelta ma è un obbligo.

Prodotti made in Marocco 

Si parte in  direzione Ouarzazate. La strada che percorriamo è ben asfaltata ed arriva al Passo di Tizi n’ Tschka (2.264 s.l.m.) che tradotto significa “difficile”, e lo è abbastanza guidare tra tutti questi tornanti. Il paesaggio è a tratti lunare ed io resto con il naso attaccato al finestrino a guardare i colori che cambiano. Spesso e volentieri sono obbligato a svegliarmi dal mio momento “sognatore” e devo trattenere il respiro per il modo che i marocchini hanno di guidare, un modo parecchio “frizzante” (per usare un eufemismo); non si fanno problemi a superare linee continue oppure enormi camion in curva, il codice stradale classico viene superato da un altro fatto di segnali, clacsonate, lampeggiamenti e saluti più o meno amichevoli.

Dopo aver superato il passo, ci fermiamo in un villaggio arroccato, dove ad aspettarci c’è Youssef, padre di 5 bambini. La sua famiglia vive con i prodotti che coltiva –  poca roba – e con le poche pecore che alleva. Il bassissimo reddito familiare è integrato con i piccoli guadagni che derivano dall’aver reso visitabile la loro casa ai turisti, offrendo un tè alla menta o un piccolo pranzo. Il villaggio non è per nulla accessibile, così come la casa di Youssef ma la disponibilità ad aiutarmi e portarmi in giro come la regina del Marocco è molto forte. Tra uno scalino, una rampa ripidissima e una preghiera a qualsiasi Dio che voglia ascoltarmi per farsi che nessuno scivoli mentre mi portano (altrimenti mi raccoglieranno con il cucchiaino), riesco ad entrare nella casa di Youssed. La casa è semplice, con poco arredo e senza riscaldamento, tranne un piccola stufa a legna (non facilmente reperibile in queste montagne brulle), non manca un piccolo hammam che viene utilizzato 2/3 volte alla settimana.

Ci sistemiamo nel piccolo cortile, all’ombra di un albero d’arancio per gustarci il rituale della preparazione del tè alla menta. Scopro che la maggior parte del tè che viene bevuto in Marocco arriva dalla Cina (tutto il mondo è paese), credevo fosse un prodotto tipico marocchino ma non è il tè in sé ad esserlo bensì la sua preparazione e la sua condivisione. Il tè verde alla menta viene bevuto a colazione, prima dei pasti perché da appetito, dopo per digerire, come aperitivo,  insomma è sempre il momento giusto per rilassarsi con il rituale del tè. Osservo Youssef mentre lo prepara, in modo d’assimilare le indicazioni e poi farlo in Italia (le buone intenzioni ci sono sempre). Youssef scalda la teiera in cui mette le foglie, versa l’acqua bollente e ruota velocemente il contenitore, poi butta via l’acqua facendo attenzione a non perdere le foglie. A questo punto aggiunge la menta fresca, lo zucchero e irrora con l’acqua bollente. Il tè resta in infusione per circa 5/8 minuti, a seconda di quanto lo si vuole carico e poi lo si versa (è compito del padrone di casa farlo) tenendo molto in alto la teiera (non bisogna spargere nemmeno una goccia). Gustiamo il tè accompagnato  da pane, miele e burro e guai a chi ci guasta questo momento di relax.

Prima di arrivare ad Ouarzazate ci fermiamo nella Cooperativa Femminile “AFRA”. Ci sono parecchie cooperative in questa zona che producono l’olio d’argan ed altri prodotti estetici bio, il cui scopo è quello di dare lavoro alle donne, migliorando la loro condizione di vita. Molte di queste cooperative organizzano corsi di alfabetizzazione (purtroppo in Marocco, soprattutto nelle zone interne, esiste un altissimo tasso di un’alfabetizzazione femminile). Le donne berbere per produrre l’olio estraggono i noccioli dai frutti di argania ed attraverso uno strumento meccanico manuale, li sfregano e producono una pasta che poi verrà utilizzata sia per prodotti alimentari che per l’estetica. Pe produrre un litro d’olio bisogna spremere 100 kg di noccioli e per questo che l’olio d’arga viene chiamato l’ “oro del deserto”. L’olio d’Argan (che viene prodotto solamente in Marocco) è ricco di acidi grassi essenziali omega-6 e di vitamina E, ha funzioni idratanti ed antinvecchiamento. Felice e con la pelle bella lissia proseguiamo il nostro itinerario.

Hollywood marocchina

Mi stupisce questo Marocco con i suoi piccoli villaggi, piccoli gioielli depositati o incastrati tra le rocce e il deserto, messi lì per sempre, abbandonati a se stessi. Il tempo pare non disturbarli anzi li abbellisce, come una di quelle fotografie che con il tempo acquistano valore per il ricordo che emanano. Il calore e il deserto li fissano per sempre come se fossero dei fossili, come se debbano testimoniare per sempre la loro presenza.

Sulla N9, 30 km prima di Ouarzazate, si trova un meraviglioso “kasar” ovvero la kasbah fortificata di Ait Ben Haddou, costruita interamente con il fango e l’argilla.  E’ un vero spettacolo per gli occhi, incastonata in mezzo all’Atlante marocchino. La kasbah è del XVI secolo e da qui passavano le carovane che trasportavano sale da Marrakech verso il deserto riportando indietro oro, avorio e schiavi. La sua bellezza è apprezzata anche dall’indistria cinematografica, in particolare americana. Proprio all’interno delle mura della kasbah sono stati girati numerosi film hollywoodiani da “Lawrence d’Arabia” al “Gladiatore”, da “Gesù di Nazareth” a “Alexander”.

Oggi, nella kasbah vivono sei famiglie che si guadagnano da vivere con l’agricoltura e il turismo. Nelle abitazioni tradizionali non arriva l’acqua corrente e tutti gli abitanti si approvvigionano da una fontana di acqua potabile ubicata nel centro del paese. Il fatto che sia diventato un importante luogo turistico le ha fatto perdere parte del suo fascino naturale. Un tempo, ad esempio, per arrivarci bisognava attraversare un fiume ora è stato costruito un ponte e all’interno della fortezza vi sono numerosi negozi artigianali quasi come se ci trovassimo a San Gimignano. Anche in questo caso a tratti devo essere portato come se fossi il Re d’Arabia ma non fatico ad entrare nella parte, sono abituato a farmi trasportare un pò di qua e un pò di la.

Si riprende la strada verso Ouarzazate una cittadina costruita dai francesi come centro militare che poi con il tempo è diventato un importate centro di set cinematografici, in pratica è la Marrocollywood. Molti film italiani e americani ambientati nel deserto sono stati girati in questi luoghi. Dormiamo presso l’Hotel Berbère Palace , in cui hanno alloggiato molte star del cinema. Nonostante l’abitudine ad avere divi del cinema, nell’albergo non erano abituati ad avere una star delle rotelle, infatti è stato sorprendente come non riuscissero a comprendere che per lavarmi avessi la necessità di avere un normalissimo seggiolino/sgabello di plastica da porre nella vasca da bagno. Il personale, al gran completo, si è mosso per essermi d’aiuto ma faticando non poco a capire di cosa avessi bisogno. Mi hanno infatti portato, in ordine di apparizione, una sedia a rotelle di grandi dimensioni, una poltrona di stoffa, una scaletta, un bidone di plastica ed infine un pouf, che ho accettato per disperazione. A tratti credevo di essere il protagonista di una candid camera.

ERG, il deserto

Lasciamo Ouarzazate e ci dirigiamo verso Zagora nel mezzo della Valle del Draa. L’intenzione è quella di visitare la città e poi recarci verso M’Hamid El Ghizlane per andare a dormire in un bivacco nel bel mezzo del deserto. Ma man mano che ci avviciniamo a Zagora il cielo si fa sempre più scuro e quando entriamo in città pare di essere arrivati a Pavia in una giornata di nebbia con la differenza che fa caldo e che il cielo è giallognolo. Non avevo mai vissuto l’esperienza di una tempesta di sabbia e devo dire che è affascinante e comprendo l’importanza del turbante che avvolge e copre bocca, orecchie, naso; la sabbia s’infiltra in ogni dove e nonostante la copertura del turbante già so che la masticherò per molti giorni.

Zagora è avvolta nella tempesta e girare per le vie è praticamente impossibile. Decidiamo di spostarci verso il Sahara essendo ben consapevoli che non dormiremo nel bivacco, non avrebbe senso; sono dispiaciuto perché sarebbe stata una bellissima esperienza. In auto attraversiamo la tempesta, non ho idea di dove possiamo essere, mi pare di essere in un film di fantascienza, i colori sono a tratti innaturali tutti tendenti al giallo e l’unico rumore è quello del vento. Ci sono momenti in cui mi domando se non sono stato trasferito su un altro pianeta, pare che non ci sia più differenza tra il giorno e la notte, forse anche il tempo si è fermato.

Arriviamo a M’Hamid El Ghizlane, trascorriamo la notte in un albergo e in mattinata ci dirigiamo verso l’ERG, che sino ad ora per me era il nome di un azienda petrolifera, e che invece essere il “deserto”. Per ovvi motivi non è facile rotellare nella sabbia, anzi è pressoché impossibile ma l’emozione di essere nel mezzo del deserto è impagabile: il silenzio del vento, la sabbia che vola formando delle piccole onde, i colori intensi, le ombre che formano figure da favola. Mi sento abbandonato ma anche protetto. La possibilità di ascoltare il silenzio del deserto è emozionante e indimenticabile, non è importante se si ha la possibilità di rotolarsi sulle dune oppure restare incastrati come un ombrellone, quello che è importante è di sentirsi parte del vento, parte dell’immenso che comunicano questi luoghi e per un attimo facciamo pace con tutto.

“Dio creò il deserto affinchè gli uomini possano conoscere la loro anima” – detto tuareg

Alessandro Abrusci

Nato nel 1985 a Napoli, cresciuto in Puglia, cittadino del mondo. Ha sempre orientato la sua vita verso la fotografia. Ha una laurea in Tecnologie della Comunicazione Multimediale presso l’Università di Ferrara, laureato in Grafica, ha un master in Editor di comunicazione digitale. Ha lavorato nel settore del reportage per grandi aziende a livello nazionale come Barilla e Mondadori e aziende internazionali come l’Ente del Turismo Tunisino.